Drazen Brncic: “Orgoglioso del mio Monza, conservo un cimelio biancorosso. Sull’Inter e Cuper…” – ESCLUSIVA EC

DRAZEN BRNCIC MONZA INTER – Domani sera, allo stadio U Power di Monza, andrà in scena l’anticipo della 17^ giornata di Serie A, che vedrà la squadra brianzola di Palladino sfidare l’Inter, galvanizzato dalla vittoria sul Napoli di venerdì sera. Sarà quindi un interessante derby lombardo.

Per l’occasione, “Europa Calcio” ha contattato in esclusiva Drazen Brncic, al Monza nella stagione 1999/2000 e per alcuni mesi all’Inter, ossia dall’estate 2001 a gennaio 2002. Approdò in nerazzurro nell’ambito della trattativa con cui Andrea Pirlo lasciò il club presieduto in quegli anni da Moratti per legarsi al Milan.

Oggi allena in Belgio, dove vive stabilmente, e negli anni passati ha ottenuto ottimi risultati, specie alla guida dell’Union Saint-Gilloise e durante il triennio all’RDW Molenbeek.

Così esordisce Brncic: “Ho tantissimi ricordi dell’esperienza in Brianza, proprio lì mi sono fatto conoscere in Italia. Ero reduce da un anno difficile alla Cremonese, a causa di un paio di infortuni non ero riuscito a esprimermi al meglio e la squadra era anche retrocessa in Serie C. Mentre al Monza giocai 37 partite su 38 e segnai 9 gol, tutti su azione. In più a maggio festeggiammo la salvezza“.

E alcuni mesi fa che effetto le ha fatto vedere i biancorossi in Serie A? 

Ero orgoglioso e con il cuore pieno di felicità, sono fiero di aver indossato quella maglia e di aver fatto parte della storia del Monza. Quella piazza sarà sempre speciale per me. Nella mia scrivania conservo ancora una collanina con i colori del Monza che mi regalarono le Monelle Biancorosse, un gruppo di tifose. Inoltre non dimenticherò mai il gol che segnai al Genoa: nella nostra rete dell’1-1 feci l’assist a Vignaroli, mentre allo scadere realizzai di testa il gol della vittoria su cross di Mazzeo. Quella vittoria ci diede una grande carica per gli impegni successivi. Eravamo un grande gruppo, che contava gente come Gillet, capitan Bonacina, Smoje e Castorina“.

Peraltro, in quel Monza c’era anche un certo Patrice Evra. 

Passavo molto tempo con lui e Beloufa perché parlavamo tutti e tre il francese. Quando era da noi Pat giocava ancora da attaccante esterno, solo tempo dopo al Monaco venne adattato a terzino. Dico la verità, si vedeva che aveva talento ma non mi aspettavo una sua crescita fino a quei livelli. In ogni caso aveva già un grandissimo carattere e una grande forza interiore, stile Ibra per intenderci. Anche se non giocava mai, era sempre convinto dei suoi mezzi e non mollava nemmeno di un millimetro. Queste cose le ricordo benissimo“.

Passando al Monza attuale, cosa pensa di questa stagione? 

Ho visto diverse partite, soprattutto all’inizio quando c’era Stroppa. Fino a un certo momento della gara i biancorossi giocavano sempre alla pari con tutti, poi veniva meno sempre qualcosa specie negli ultimi sedici metri. Ho guardato per bene anche la sfida contro la Juve, la prima di Palladino. Il Monza ha fatto una prova di grande forza e carattere, necessitava di un risultato come quello. Altrimenti avrebbe davvero rischiato di cadere definitivamente in un vortice molto pericoloso. Spero tanto che la squadra si salvi, sarei molto contento anche per Galliani e Berlusconi, che quando ero al Milan scherzava con me dicendo che il mio cognome era come un codice fiscale (ride, ndr)“.

A livello individuale, invece, chi l’ha colpita di più dei brianzoli?

Da ex centrocampista dico Pessina: come caratteristiche siamo abbastanza simili e la voglia che ha di vincere mi ricorda quella che avevo io. Apprezzo anche le qualità di Sensi, peccato per i problemi fisici che spesso lo fermano“.

Durante la sua carriera, per qualche mese fu dell’Inter. Cosa può dire di quei mesi?

Lì sono stato appunto solo di passaggio. E, come sapete, andai all’Inter dal Milan nella trattativa che portò Pirlo in rossonero. Mi diedero molto fastidio le voci secondo le quali ero approdato all’Inter solo per una questione di plusvalenza, io ho sempre fatto il massimo e ho sempre voluto misurarmi con i migliori. Professionalmente il periodo al Milan fu importantissimo per me, imparai tantissime cose. Poi con Pirlo e Rui Costa non avevo chiaramente più spazio, e se hai la possibilità di andare all’Inter non puoi di certo dire di no“.

In nerazzurro però nemmeno un minuto in partite ufficiali. 

Iniziammo il ritiro con la rosa che contava 41 giocatori, mentre Cuper ne voleva al massimo 30. Così io e altri – tra cui Jugovic, Hakan Sukur e Robbiati – non eravamo nemmeno partiti per il ritiro e ci allenavamo a parte ad Appiano Gentile. Posso capire la decisione dell’allenatore perché avevo giocato pochissimo in Serie A e, diversamente da tanti miei compagni di squadra, non avevo una fama internazionale. Quindi qualche mese più tardi passai all’Ancona; mi voleva anche il St-Etienne e io volevo andare lì, ma con loro non si concretizzò la trattativa. Mi dispiace solo di non aver mai avuto l’occasione, nemmeno semplicemente in allenamento, di mostrare a Cuper le mie qualità. Chissà, magari lo avrei messo in difficoltà…“.

Anche perché lei in campo era un guerriero. 

Certo, io ho dato ogni volta il 200% in tutto. Ho sempre sfidato il destino: da ragazzo stavo per morire a causa di una trombosi, ero rimasto molto tempo in ospedale ma poi ho sconfitto la malattia. Anche nel calcio è stato così: sono partito dalle categorie piccole e poi sono arrivato ad alti livelli. Per me la cosa più importante, indipendentemente dal raggiungere o meno un obiettivo, è non avere rimpianti e non poterti rimproverare nulla. Questo è possibile solo dando sempre il massimo e tutto te stesso“.

 

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Fonte: Europacalcio.it

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