Roma, Abraham sul futuro: “tornare al Chelsea? Mai dire mai…”

Roma, Abraham sul futuro – Tammy Abraham, attaccante inglese della Roma, ha rilasciato un’esaustiva intervista ai microfoni di “Four Four Two“, nella quale ha parlato del suo futuro, dei motivi che lo hanno spinto a scegliere la compagine guidata da Josè Mourinho e, anche, del rapporto con lo “Special One”.

Roma, Abraham sul futuro – Ecco le sue parole:

Su un suo possibile ritorno al Chelsea – Nel calcio mai dire mai – spiega il numero 9 giallorosso – in questo momento la mia attenzione è rivolta alla Roma: vogliamo finire al meglio la stagione. Non ho ancora iniziato a pensare ad altro oltre a fare del mio meglio. Non direi che ci sono questioni in sospeso in Inghilterra, non ho fretta. Il calcio non ha luogo, può essere ovunque. Forse resterò alla Roma per i prossimi dieci anni, o forse no. Non si sa mai cosa c’è dietro l’angolo”.

Sul suo approdo nella Capitale – “Era arrivato il momento di lasciare il Chelsea e stavo parlando con diversi club in Inghilterra e in Europa. La mia attenzione era rivolta a un certo club londinese, era l’Arsenal. Mio padre è un grande tifoso, quindi era molto entusiasta, tutto andava bene. Poi però José mi ha chiamato, di solito non rispondo mai ai numeri che non ho salvato nei miei contatti: “Ciao Tammy, sono José”. E io ho pensato, “Wow, che sorpresa!”. Mi ha chiesto come stava la famiglia. Lo conoscevo bene perché mi aveva visto da bambino al Chelsea.

Mi ha chiesto: “Sei pronto a lasciare il brutto tempo e venire sotto il sole di Roma?”. Mi ha spiegato il progetto e le sue ambizioni. Era a Roma da poco tempo, ma mi spiegò cosa aveva visto e cosa si provava. Ho parlato con i miei agenti e mi hanno detto che non c’erano dubbi, era un momento perfetto per iniziare una nuova vita, per andare all’estero e conoscere un’altra cultura. Ero prontissimo e da allora non mi sono più guardato indietro”. Preziosi anche i consigli di Rüdiger e Jorginho: “Entrambi mi dissero che la Roma è un grande club. Guardavo la Roma in Champions e mi ero fatto un’idea, ma venire qui è stata un’esperienza pazzesca. I tifosi mi stavano aspettando anche in aeroporto. Ho preso un volo privato, quindi non sapevano a che ora sarei atterrato. Loro erano lì dal mattino. Avere quell’accoglienza è stato incredibile”.

Sul rapporto con Mourinho – “José è una leggenda, lo adoro. È quello che noi chiamiamo un vero capo. È un leader” spiega l’ex Chelsea parlando del suo allenatore: “Quando parla, lo si ascolta. Sa come gestire i suoi uomini, è uno dei migliori al mondo in questo. Sa come guidarti, come entrare davvero nella tua testa. Anche se stai facendo un ottimo lavoro, cercherà comunque di farti fare di più. Non è mai soddisfatto, vuole sempre di più. Prima della semifinale di Conference League contro il Leicester abbiamo giocato una partita di campionato e pensavo di star disputando una bella gara. Ero pieno di fiducia, ma il giorno dopo José mi chiamò in sala riunioni. Avevamo il Leicester dopo due giorni, non c’era tempo per recuperare. Mi disse: “Tam, non credo che tu sia stato abbastanza bravo”. Nella mia testa pensavo “Ho giocato abbastanza bene!”. Lui disse:

“Penso che tu possa fare di più”. Nessun problema. Quando parla, ascolto sempre e seguo i suoi consigli. Mi ha detto che secondo lui non segnavo abbastanza con la testa, soprattutto dai calci d’angolo. La cosa assurda è che due giorni dopo contro il Leicester, ho segnato un gol di testa da un corner! Ricordo che cercavo di capire come fosse riuscito a farmelo fare”. Oltre a quello con Mourinho, Abraham sembra aver stretto un legame speciale anche con Dybala: “Ogni giorno ci alleniamo insieme, ci facciamo tante risate e questo rapporto dà i suoi frutti anche in partita”.

Un commento, infine, sul Mondiale mancato – “Southgate mi disse che avevo la forma sbagliata al momento sbagliato, che sarebbe stato ingiusto per gli altri giocatori. Me lo aspettavo. È più difficile essere convocato se non giochi in Premier, le partite di Serie A non vengono mostrate in Inghilterra. Non ero in una fase in cui ero in fiducia, quindi me lo aspettavo. Ma ovviamente non è bello sentirsi dire queste cose.

Mi stavo ancora abituando ai cambiamenti e all’inizio non mi sono concentrato su me stesso. Se qualcosa andava storto, ero il primo a dare la colpa agli altri invece di sedermi e pensare a cosa dovevo migliorare. A volte se vedi un giocatore come me con la testa bassa, senza fiducia, si ripercuote anche sulla fiducia della squadra”. Ora però il peggio sembra essere passato: “Ho dovuto reagire. Mi sono detto “Sono un giocatore importante, la mia squadra deve vedermi felice e fiducioso”

Fonte: Europacalcio.it

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